Arti Visive
FORGETME(K)NOT
UNA MOSTRA INTERNAZIONALE PER NON DIMENTICARE I DIRITTI (NEGATI) DELLE DONNE
Il Museo del Ricamo e del Tessile di Valtopina (Perugia), inaugura sabato 28 ottobre 2023 (ore 16:00) la mostra internazionale d’arte contemporanea FORGETME(K)NOT, un progetto promosso da SCD Textile&Art Studio, patrocinato da Regione Umbria e Comune di Valtopina, curato da Barbara Pavan in collaborazione con Erika Lacava, Anna Rita Punzo, Margaret Sgarra e Maria Chiara Wang.
Il fazzoletto è un elemento familiare, domestico e comune che custodisce però una stratificazione di significati. Se oggi associamo il termine a un prodotto usa e getta che – peraltro – oltre ad essere insignificante è anche poco green, per molto tempo esso è stato un accessorio cui si dedicava cura e attenzione nella realizzazione e a cui si affidavano una pluralità di messaggi a seconda dell’uso che ne veniva fatto. Di tessuto povero e semplice o di stoffe più raffinate, spesso impreziositi da cifre e monogrammi, i fazzoletti hanno una lunga storia intrecciata con le mani femminili che li trasformavano in piccoli capolavori di ricamo e con il cuore delle donne - pegni d’amore o veicoli di seduzione in tempi in cui gesti e oggetti erano densi di contenuti. Una pluralità di declinazioni che oscilla tra opposti accadimenti cui va aggiunta la dimensione della memoria. È il nodo al fazzoletto infatti il simbolo per eccellenza della necessità di ricordare, un monito a non dimenticare qualcosa di importante.
A questo piccolo quadrato di stoffa, dunque, si affida il senso di questa mostra: mantenere viva e vigile l’attenzione su un tema che è purtroppo ancora di grande attualità attraverso opere che evocano o utilizzano un fazzoletto annodato cui è consegnata la testimonianza o la memoria di discriminazioni, violenze, sopraffazioni perpetrate ai danni di una singola donna o di un gruppo di donne nell’ambito privato o pubblico, in qualunque paese del mondo. Un nodo per non dimenticare i diritti (negati) delle donne. Gli artisti e le artiste selezionati attraverso un bando internazionale provengono da aree geografiche, background e generazioni differenti e restituiscono una molteplicità di voci che indaga la complessità del fenomeno fin nei risvolti più nascosti, ambigui e ingannevoli. In mostra le opere di: Luciana Aironi, Pietrina Atzori, Loren Batt, Luciana Bellotti, Manuela Bieri, Paola Calcatelli, Beryl Cameron, Susanna Cati, Michela Cavagna, Meri Ciuchi, Tiziana Contu, Isabelle Cosnard, Rosita D’Agrosa, Francesca Di Ciaula, Sarah Dochow, Jolanda Drukker Murray, Rana Feghali, Magdalena Fermina, Patrizia Benedetta Fratus, Irma Frijlink, Donatella Giagnacovo, Grazia Inserillo, Marisa Iotti, Alisa Kaufman, Monika Kosior, Ada Krenz, Cinzia Li Volsi, Beatrice Loth, Sara Lovari, Flavia Michelutti, Antonella Muresu, Dimana Nakova, Barbara Pala, Piotr Pandyra, Giulio Patrizi, Anouchka Perez, Catherine Primot, Beata Prochowska, Céline Ramio, Olga Teksheva, Chantal Tichit, Patrizia Trevisi, Patrizia Valcarenghi, Nancy Van Dijk, Eliana Vessi Rosell, Asta Lena Volkensfeld.
La mostra sarà visitabile fino al 3 dicembre 2023, mercoledì e sabato dalle ore 15:30 alle ore 18:30 oppure su appuntamento al tel. (+39) 339 340 7299.
…Il ricordo del dolore è ancora dolore, scriveva Byron.
Il mio nodo al fazzoletto è a ricordo di un dolore senza tempo ne confini.
È ricordo infinito e perpetuato da soprusi reiterati verso le donne.
È ricordo di ferite e lacerazioni che inutili bendaggi tentano di nascondere.
Nel busto svuotato non c’è amore, ne promessa, ne frutto, ma transito e attraversamento di fibre
dolenti.
Evidente il richiamo ad una Venere, icona del mondo mitologico, trasfigurata in un’immagine di
sofferenza.
In nero: così Donatella Giagnacovo declina qui il cuore, simbolo per eccellenza con cui comunemente si identifica la sede di sentimenti, emozioni ed affetti, icona del verbo ‘amare’ – o, meglio, del più contemporaneo ‘love’, rafforzativo di ‘like’ nell’universo virtuale dei social – elemento che, tradizionalmente, aveva nelle divine virtù e nella sacralità delle aspirazioni la sua massima manifestazione e, probabilmente, anche la sua origine. Vagamente evocativo della reale forma dell’elemento anatomico a cui si ispira, il cuore – usato e abusato in ogni forma di linguaggio e rappresentazione – ha finito per svuotarsi dei suoi significati profondi assurgendo, infine, allo status di icona, logo, proiezione sintetica e immediata di una comunicazione contemporanea che è fatta di informazioni rapide e indolori che si rincorrono scacciando l’una l’altra dalla memoria nella quale, peraltro, lasciano scarsa traccia. Questo è in fondo il corpus di cuori che ci consegna l’artista: oggetti di consumo, debitamente identificati da un proprio specifico codice a barre che ne li qualifica come merce, prodotti pronti all’uso e alla sostituzione all’occasione con modelli più consoni ai propri desideri e più attuali.
Nero, dicevo. Nero che va su tutto, che ha sempre una sua eleganza, sfina, allude, evoca, insomma un non-colore, poco impegnativo, che non chiede grandi sforzi per essere indossato, abbinato, sfoggiato.
Nero. Nero come il buio e l’abisso è però anche sinonimo di assenza di luce, spento, privo di vita. Nero che assorbe, cancella, divora tutti gli altri colori, le sfumature, i contorni. Nero che è esso stesso ombra, proiezione ambigua di un corpo illuminato in una sintesi mutevole e incerta affidata agli elementi esterni che contribuiscono alla sua esistenza.
I cuori di Giagnacovo sono forme che tradiscono la propria essenza o, per meglio dire, sono l’essenza ultima e autentica di una narrazione che appare altra in superficie, la natura e la sostanza di quell’ombra oscura che vestendo l’umanità dell’individuo ne rivela, paradossalmente, la sua nuda verità.
CUORE NERO è la rappresentazione del tradimento, di tutti i tradimenti. Non solo dell’amore nel suo significato profondo, ma dei sogni, delle aspettative, dei progetti: Giagnacovo ci consegna uno sguardo sul fondo della realtà, sul suo lato nascostto che fatichiamo a decifrare, il suo cuore nero che non vogliamo indagare, di cui preferiamo non ammettere l’esistenza fino a quando, precipitando, dobbiamo necessariamente scoprirlo.
Si ritiene spesso preferibile non conoscere al di là del perimetro di interesse delle singole, personali esistenze, si rimane al di qua della legittima indignazione innescata dai fatti di cronaca e che dura il tempo dei notiziari, si sceglie di vivere il momento senza porsi troppe domande soprattutto quando queste riguardano il quotidiano in cui si è immersi e le cui risposte minerebbero la parvenza di equilibrio cui ci si aggrappa ostinatamente. Siamo talvolta inconsapevolmente ciechi, altre volte distratti o superficiali, altre ancora per quieto vivere diventiamo complici della medesima notte, in un tradimento di sé stessi che è, tra tutti, il più feroce ed infelice.
In un cortocircuito polisemico di parole e di elementi visivi, l’artista muove alla ricerca del nucleo di sentimenti e emozioni, scavando tra le pieghe e tra le sfumature degli eventi, dei fenomeni e dei comportamenti, individuali e collettivi. Come una collezionista, individua e raccoglie l’anomalia delle definizioni che non coincidono con la manifestazione reale che pretendono di identificare, che tradiscono il significato che ne è all’origine, lo spirito della promessa che il termine contiene e garantisce: qual è la convergenza semantica – ad esempio – tra amore e omicidio, tra empatia e sopraffazione, tra amore e stupro, tra cura e sfruttamento, tra rispetto e possesso.
Giagnacovo informa un archivio della consapevolezza, un erbario delle malerbe, allestendo una vetrina in cui al contempo osservare e specchiarsi, una sorta di lente di ingrandimento che consente di leggere i segni e i gesti nel minimo dettaglio e nella loro crudezza, mondati dall’aura fuorviante delle espressioni linguistiche con cui convenzionalmente sono catalogati, e attribuendo ad ognuno la responsabilità di un tradimento – di senso, di valore, di prospettiva.
Installata in un ambiente raccolto e secondario dove evidenti sopravvivono le tracce e la memoria di altre vite, CUORE NERO instaura un dialogo intimo e personale con l’osservatore. In questo spazio separato – che per estensione è uno dei significati del sacro – si consuma un rito catartico, una purificazione della parola che ritrova il suo senso pieno e coerente, liberato dalle degenerazioni e dai fraintendimenti. Se, nell’immaginario collettivo di una cultura che si è evoluta a partire dalle sue radici cristiane, il cuore di Gesù costituiva la rappresentazione dell’amore elevato alla sua massima potenza, quella divina, è ancora a quella stessa tradizione che si ispira l’ultima opera che chiude simbolicamente il cerchio: il cuore di pane che nella divisione e condivisione con l’altro diventa rito di rinascita e di speranza, nutrimento, vita.

La 729° Perdonanza Celestiniana aquilana offre l’occasione
per una riflessione sul senso del sacro e il suo significato
nel
nostro tempo. Ventitré artisti e artiste attivi/e sulla
scena
nazionale ed internazionale dell’arte contemporanea hanno
esplorato ruolo e identificazione della sacralità in una
società votata a vivere in velocità e che ha fatto della
concretezza e del pragmatismo associati alla scienza, alla
tecnologia e all’economia il suo perno, abbandonando,
apparentemente, qualsiasi speculazione ed indagine di quel
territorio sospeso tra visibile ed invisibile che ha
alimentato
la dimensione spirituale e filosofica di generazioni di
intellettuali, teologi, mistici almeno quanto ha modellato e
scandito la vita quotidiana individuale e collettiva di ogni
comunità umana.
LUCO.
Esiste ancora – e nel caso dove si colloca - il sacro al
tempo
dell’intelligenza artificiale, della comunicazione ossessiva
e
compulsiva dominata dalle informazioni e dalle immagini, in
cui è sempre più sfumato e incerto il confine tra reale e
virtuale?
Intorno alle declinazioni della sacralità e delle sue
rappresentazioni, dei suoi riti e dei luoghi ad essa
deputati si
snoda questa mostra diffusa.
LUCO deriva dal latino lucus che in origine indicava una
radura boschiva più esposta alla luce solare, come
suggerisce l’affinità con lucēre (brillare, splendere), e
che
presso i Romani si identificava - per estensione - con il
Bosco Sacro, dimora di divinità e di potenze principalmente
legate alla natura e di cui la toponomastica restituisce
ancora oggi la traccia (Piediluco, Monteluco, Luco dei
Marsi,
ecc.).
Alla ricerca e all’approdo ad un ipotetico luco
contemporaneo, un non-luogo che allude a uno spazio, a un
tempo – reale o metaforico - o a una condizione dell’essere
e dell’esperire è ispirato questo percorso espositivo
articolato in tre sedi suggestive all’interno di edifici
storici.
La pluralità generazionale e di provenienze geografiche e
background culturali degli artisti consente un’altrettanta
molteplicità di interpretazioni e di sfumature che apre la
strada ad ulteriori confronti e riflessioni sull’evoluzione
dell’esigenza che accompagna l’umanità dai suoi albori di
trovare un senso alla finitezza e alla fragilità
dell’esistenza.
BARBARA PAVAN
Muta preghiera
Il Nobel per la medicina Alexis Carrell sosteneva a metà del
secolo scorso che la preghiera fosse
una necessità quasi fisiologica dell’uomo. Da qualche anno
studi condotti da più parti sembrano
confermarne gli effetti benefici sul cervello tanto da
arrivare recentemente a parlare di prayer
therapy che pare innalzare i livelli di serotonina e dunque
essere in grado di contrastare alcuni stati
d’ansia, insonnia, stress e depressione. È noto, d'altra
parte, che la ritualità dei gesti e delle parole
abbia nella sua ripetizione talvolta quasi meccanica un
potere catartico e laddove essa si identifichi
per l’individuo anche come il mezzo di connessione con la
dimensione spirituale - o come il veicolo
attraverso il quale superare la solitudine della
consapevolezza della morte che è all’origine
dell’esigenza di credere - ecco che essa assume un carattere
consolatorio e infine persino
terapeutico.
Questa premessa conduce fino ai tre elementi che compongono
l’installazione di Donatella
Giagnacovo, che depurati fino all’astrazione e alla massima
sintesi, - scrive l’artista - rinforzati nella
narrazione visiva, da posture ieratiche e sublimati dalla
scelta del bianco a rinforzo di uno svuotamento
necessario sino all’essenza, si stagliano come sentinelle
penitenti.
Corpi incerti, fantasmi affrancati della certezza della
propria consistenza tangibile o della propria
identità oppure ritratti dell’essenza ultima della loro
stessa umanità, essi si offrono all’osservatore
in un raccoglimento assoluto, in un silenzio che - privo
dell’eco di richieste, invocazioni,
ringraziamenti - è un abbandono ristoratore. Resa
indipendente dalla devozione, la preghiera
diventa laica, muta, eppure ancora rifugio consolatorio
dalle nostre fragilità.
BARBARA PAVAN
Ascolta
Dimensioni: esterne cm. 30 X cm. 30, elemento in cornice a
cassetta, colore bianco
Tecnica: Mista, con texture di fili cuciti ed inserti di
plastica e legno
Datazione: 2023
– Ascoltare è
necessario, è atto fondamentale a garanzia di una qualsiasi comunicazione ma
ancora più importante è saper ascoltare i silenzi.
Il lavoro è un segmento di un percorso in progress più ampio
e dettagliato dal titolo “Lessico sentimentale” iniziato nel 2021. La
comunicazione, sottolineata dall’utilizzo di grafemi inseriti nel contesto
visivo, stimola la riflessione sul non detto e sul non ascoltato nelle
relazioni di coppia, familiari, sociali. La parola tracciata è punto
prospettico, è origine del legame comunicativo. Un invito a riflettere per
un’educazione dialettica che pure deve essere stimolata in una società urlata.
IL PESO DEL VUOTO: la
condizione femminile nella mostra di Donatella Giagnacovo in apertura a Perugia
“Il peso del vuoto” la mostra personale di Donatella Giagnacovo, a cura di Barbara Pavan.
La mostra
catalogo : https://issuu.com/barbarapavan469/docs/donatella_giagnacovo
L’artista aquilana che da anni
pone al centro della propria ricerca la questione femminile nella sua globalità
attraverso questo corpus di opere riporta il focus sulle diverse declinazioni
della discriminazione nei confronti delle donne sollecitando un’osservazione
capillare dei fenomeni, partendo dall’analisi certosina delle parole che usiamo
e del loro significato recondito, del pensiero che sottintendono e che
inconsciamente e inaspettatamente tradiscono. Lo fa immergendo il visitatore
tra i fantasmi, donne di cui è rimasto il guscio che evoca
esistenze segnate da una molteplicità di ferite – fisiche, spirituali, emotive
– tanto più profonde quanto più invisibili; esperienze traumatiche, dolorose,
faticose nascoste tra le pieghe di una normalità che nessuno vuole indagare,
seppellite sotto strati e strati di doveri e divieti, zavorrate all’inferno dal
peso insostenibile dei sensi di colpa. È il peso del vuoto, l’eredità
infame di secoli di sottomissione e di dipendenza; come dice Giagnacovo di uno
dei suoi eterei abiti/corpo - “nulla che veste il nulla”.
La mostra desta da un torpore
indotto da una sottovalutazione delle ombre lunghe delle dinamiche relazionali
tra gli individui, tra gli stessi e le comunità in cui vivono, tra queste e la
società contemporanea: cullati da una ambigua certezza di aver ormai superato
brillantemente i tempi oscuri della discriminazione nella nostra società matura
e impermeabile a fenomeni sessisti, continuiamo a considerare ogni femminicidio
come uno sporadico, tragico, singolo evento eccezionale.
La drammatica urgenza delle molte
istanze legate al femminile è restituita qui da un’uniformità monocromatica
comune a tutto il corpus di opere: il bianco diviene esso stesso linguaggio e
metafora di quell’ambiguità tra essere ed apparire che spesso inganna nella
percezione della realtà. Evocativo di un ideale di purezza, a differenza del
colore che è clamore, rumore, caos, il bianco induce una condizione di
rilassato abbandono, allude ad una quiete domestica e sicura sottolineando
quanto sia facile, rassicurati dall’apparenza, non accorgersi della vera
sostanza delle cose che vediamo. Ci muoviamo a lungo tra queste figure leggere
quasi in uno stato di piacevole suggestione prima di riuscire ad udire e
comprendere la loro voce e destarci da un sonno che è rifugio e difesa
dalle brutture della veglia per scoprire la struggente verità che il
bianco aveva così diligentemente custodito. Transitiamo dunque con una nuova
consapevolezza attraverso il percorso della mostra in cui riconosciamo ora una
moderna e laica via crucis, espiando la colpa di una superficialità diffusa
che in parte è endemica del nostro tempo e che non raramente poggia sulle
spalle dei più indifesi. Ne usciamo sicuramente scossi dall’aver
improvvisamente sollevato il velo su una realtà che sembrava altra da ciò che
è.
L’artista consegna un testimone,
l’invito ad andare oltre la superficie, ad agire per cambiare le cose, per
alleggerire quel peso e colmare quel vuoto che non appartengono solo
all’altrove.
Ricetta di terra di mare di cielo di sole500 gr. di semi secchi macinati FARINA merce di scambioNuvole, pioggia e neve q.b. ACQUA bene primario15 gr. di calore del sole
sull’acqua di mare SALE merce di scambio1 cucchiaio di olive spremute OLIO merce di scambio20 gr. di madre LIEVITO bene primarioPANE INACCESSIBILE A MOLTI PENA
Gli organizzatori i coniugi
Cappiello e Rossella Savarese della SyArt Gallery impegnati nel coordinamento
dei trentasette artisti in mostra, per il sesto appuntamento della kermesse
presentano circa cento opere in rappresentanza di Paesi quali Italia, Spagna,
Stati Uniti, Polonia, Nigeria, Regno Unito, Cina, Germania, Austria, Iran e
Colombia.
Un appuntamento che dal 2017
caratterizza e impreziosisce il calendario di eventi ospitati dalla Fondazione
Sorrento. Da un’idea del visionario collezionista Leone Cappiello il format nel
tempo si è strutturato divenendo, per gli artisti che riescono a superare le
selezioni, una opportunità di crescita con una concreta visibilità
internazionale. Alla storica dell’arte Rossella Savarese, curatrice e
direttrice artistica del Festival, l’arduo compito di selezione finale tra le
centinaia e centinaia di richieste giunte nelle varie edizioni che si
susseguono. In mostra nelle ampie sale espositive di Villa Fiorentino pittura,
scultura, installazioni, fotografia, fiber art, digital pop, video art. Non
mancano i progetti site-specific tra cui “Possiamo scambiare le figurine” di
Rafael Romero artista e docente spagnolo che con il suo progetto motiva la
partecipazione dei cittadini alla cultura e alla conoscenza. Romero “scambia” i
suoi acquerelli (per la Città di Sorrento sceglie un soggetto marino) con le
"carte collezionabili" create dai visitatori. Il murale finale è
composto esclusivamente dalle opere realizzate dai partecipanti e donato alla
Città di Sorrento. La stessa idea progettuale è stata accolta in musei ed
istituzioni culturali in Spagna, Argentina e Marocco e vi hanno partecipato più
di quattromila persone.
Altro interessante progetto
site-specific è “We were there” dell'artista iraniana Arezu Zargar.
Il tema centrale di questo
progetto è un’indagine sul come essere presenti mentre siamo assenti. La nostra
presenza è fisica? Siamo davvero nello stesso luogo, a condizione che la nostra
presenza sia registrata? Un lavoro articolato che combina scultura,
installazione e video art e che sintetizza il leitmotiv curatoriale dell’intera
mostra che attraverso media e ricerche molteplici racconta dell’essere umano e
del suo atavico dimenarsi in uno spazio fisico e mentale.
Si conferma inoltre la
collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori
IRCCS Fondazione G. Pascale di Napoli con il progetto “Adotta una
parete”. L’artista Gualtiero Redivo e la SyArt Gallery donano all’ospedale
un’opera quale strumento di terapia e fonte di beneficio per i pazienti.
Il trofeo ligneo per
l'assegnazione del Premio Arbiter Fata Verde, riconoscimento riservato ad uno
degli artisti in mostra, è realizzato dall’artista sorrentino Toni Wolfe.
ARTISTI IN MOSTRA:
RAFAEL ROMERO Spagna
ALESSANDRA PASQUA Italia
ELAINE B. CHAO USA
ANNE BENNETT Regno Unito
CHIDI CHIBUEZE Nigeria
CRISTINA CIANCI Italia
MARGHERITA LIPINSKA Polonia
LIA KIMURA Polonia
LI LEI Cina
LAURA GUILDA Germania
ANDREA CIRIMINNA Italia
OBANDER CEBALLOS Colombia
RESUL JUSUFI Austria
ANGELICA ROMEO Italia
RENATA PETTI Italia
MICHELE TURBANTI Italia
ALDO MARRONE Italia
MARCO IANNACCONNE Scarlet Lovejoy Italia
DANIELA DI LULLO Italia
KRAYON Italia
MAURIZIO ESPOSITO Italia
MARCELLO QUARTA iItalia
TEALTRO Italia
RUBEN STAIANO Italia
MARGHERITA LEVO ROSENBERG Italia
MASSIMO CAMPAGNA Italia
MARGHERITA GRASSELLI Italia
CRISTINA MARIANI Italia
SUSANNI CATI Italia
MARIA JANNELLI Italia
DONATELLA GIAGNACOVO Italia
CHIARA VINCENZI USA
VITTORIO IAVAZZO Italia
AREZU ZARGAR Iran
RENATO GALBUSERA Italia
IWA KRUCZKOWSKA Polonia
JOLANDA DRUKKER MURRAY Germania
L’INCANTO
Gioielli d’arte e monili d’autore in mostra
SCD STUDIO
Perugia
1 ottobre – 5 novembre 2022
Sappiamo che già i Neanderthal che vivevano in
Europa creavano monili con perle perforate ricavate da piccole conchiglie
marine risalenti a 115.000 anni fa. Gli esseri umani, dunque, hanno indossato
gioielli lungo tutta la loro storia, in modo trasversale e con funzioni molto
diverse - dal fissare indumenti o capelli fino ad essere status symbol della
propria classe sociale; ma anche portatori di messaggi personali d’amore,
dolore, fortuna; medium per suggellare nozze, nascite, amicizie; simboli di una
qualche forma di appartenenza, sia essa etnica, religiosa o sociale; o, ancora,
nel loro significato più arcaico, per fornire protezione talismanica, amuleti
contro il male, qualunque fosse la sua forma. Ma sono e sono state anche
fenomenali opere di alto artigianato, piccoli capolavori d’arte, preziose
testimonianze di talento e creatività realizzate attraverso abilità tecniche e
manuali impareggiabili.
La stagione espositiva 2022/23 di SCD Studio esordisce come lo
scorso anno con una mostra dedicata a sei artiste che si misurano con la
dimensione del gioiello-scultura e del monile. Susanna Cati, Elisabetta
Corrao, Donatella Giagnacovo, Sandra Mrowinski, Silvia Ranchicchio, Barbara
Ventura si confrontano attraverso tecniche, materiali e contenuti
declinati in oggetti da indossare trasformandoli in linguaggio contemporaneo,
in opere d’arte uniche e minime.
Dopo L’INGANNO nel 2021 che aveva messo al centro dell’attenzione l’ambiguità
dell’apparenza dei materiali rispetto alla loro sostanza, L’INCANTO raccoglie
opere scultoree nate dalla sperimentazione di materie e tecniche ibride ed
alternative – plastica riciclata, elementi naturali, carte, objet trouvé.
SCD Studio prosegue anche quest’anno l’esplorazione dei molti volti dell’Arte e
delle arti, confermandosi uno spazio di confronto e incontro, di ricerca e
scoperta.
La mostra inaugura sabato 1 ottobre 2022, alle ore 17 a SCD Studio,
via Bramante 22N, a Perugia (zona Monteluce).
Info al mob.+39 347 177 6001
SCD Studio
SERIE COSTELLAZIONI
Tracciano segni. Compongono trame.
Inseguono sogni. Tre
artiste, tre donne, Caterina
Ciuffetelli, Donatella Giagnacovo e Silvia Giani, espongono insieme per dare
vita ad un percorso di segni e trame dalle mille sfaccettature che danno forma
alle loro ispirazioni e ai loro sogni.
Le opere
esposte in questa mostra, dall’evocativo titolo Segni Trame Sogni, conducono lo spettatore in un viaggio fatto di
linee, forme, colori in cui le tre
artiste dialogano tra loro attraverso scelte individuali ed uniche. Ognuna ha
la sua cifra e il suo linguaggio, nessuna deve qualcosa all’altra ma insieme
danno vita al sogno insito nella creazione, disseminando l’itinerario
espositivo di segni che creano trame e racconti.
E’ sogno
l’azzurro intenso e declinato nelle sue tante possibilità usato da Caterina
Ciuffetelli che ha concepito per questa mostra, un ciclo nuovissimo, dal titolo
Azzurro appunto, dedicato all’Aquila, sua città natale lasciata molti anni fa
per l’Umbria, che nasce da un riflessione sui tempi difficili e densi di sfide
drammatiche che stiamo vivendo.
E’ sogno il
caleidoscopico mondo di Silvia, fatto invece di colore dalle tinte forti e
contrastanti ad evocare momenti e tempi immaginifici, dove la sacralità del
saper fare dell’artista fa risorgere, attraverso il riutilizzo di materie di scarto
soprattutto tessuti, momenti di bellezza perduta.
E’ sogno l’uso
di un bianco dalle mille sfumature, etereo o denso che crea opere intrise di
materia oppure leggerissime; un colore non colore quello scelto da Donatella
per riflettere, anche attraverso l’uso delle parole, sulla condizione umana.
Opere di una bellezza diafana che asseriscono concetti urgenti.
Insieme
Caterina Ciuffeteli, Donatella Giagnacovo e Silvia Giani raccontano la loro
creatività attraverso opere che sono presenze forti e ci parlano
dell’indecifrabile momento del fare artistico che altro non è se non sogno
inteso come momento culmine e conclusivo del percorso creativo.
Fare arte
come azione urgente che conduce il pensiero in profondità, a percorrere strade
sempre nuove per narrare ognuna il proprio mondo. Ognuna con le sue
peculiarità, Silvia Donatella e Caterina insieme ci raccontano l’essere umano
capace di superare momenti drammatici, capace di interiorizzare ma anche di denunciare
la bruttezza intesa in tutte le sue espressioni, capace di far diventare
materiali di scarto “testata d’angolo”.
E cos’è
l’arte se non tutto questo?
Nel suo
ciclo AZZURRO, Caterina Ciuffetelli, intreccia il colore con filo di iuta a
creare percorsi e labirinti che lanciano sfide continue allo spettatore, nella
consapevolezza che attraversare le cose che accadono deve condurre alla
contemplazione-riflessione che serve ed aiuta a guardare avanti, a superare le
prove per affrontare il futuro con rinnovata fiducia; non a caso l’azzurro per Wassilly Kandinskij è l’elemento della
quiete che richiama l’uomo verso l’infinito. Il messaggio che l’artista ci
invia è libero e positivo; attento ad unire al bello del colore e delle materie
scelte, l’estetica quindi, una attenta riflessione sulla condizione umana di
fronte alle sfide che la storia pone, l’etica quindi “…in queste opere – scrive
Caterina Ciuffetelli – parlo della contemplazione come insperata e salvifica
possibilità di approcciare il mondo. Contemplazione non opposta all’azione
bensì in grado di cambiarne il verso, se necessario”. E’ questo il sogno a cui anela
l’artista creando opere che al primo sguardo sono segni che vivificano trame.
C’è la
stessa riflessione sulla condizione umana, ed in particolare su quella
femminile, nelle opere di Donatella Giagnacovo, dove il colore predominante,
che è poi la sua cifra stilistica, è il bianco. Il bianco in arte è il colore scientifico
e psicologico in assoluto, una non pigmentazione che allude ad una informalità
perfetta; per Donatella il bianco è un contenitore di concetti che viene
rafforzato, in alcune delle opere
esposte, attraverso l’uso della parola. Il monocromo perde così la sua uniformità arricchendosi grazie all’uso di
materiali tra i più disparati ( piume, garze, plastica, paglia ), mostrandosi a
volte candido e diafano simbolo di purezza e leggerezza, a volte intriso di
messaggi che inevitabilmente richiamano alla riflessione. Sono opere che
restituiscono immagini dove la parola serve a ribadire il concetto espresso
attraverso un gesto creativo che scava nella psiche umana, inchiodando lo
spettatore al ragionamento.
Diverso il
mondo artistico di Silvia Giani che ha in comune con quello delle compagne di
questo viaggio, l’urgenza di sperimentare attraverso le materie più disparate.
Nel caso di Silvia si tratta di pezzi scartati
o semplicemente messi da parte da una società votata al consumismo
sfrenato che diventano tasselli preziosi
del suo fare artistico. Sono soprattutto i tessuti, scarti di lavorazione delle
aziende o ritagli di vestiti dismessi o fuori moda, a ispirare i suoi lavori.
Lo scarto diviene così matrice di un percorso di creatività, stimola
accostamenti cromatici e geometrici “…il processo creativo – scrive Silvia
Giani – nasce dalla necessità interiore di ricomposizione della forma del
ritaglio (di stoffa ndr) consentendogli una seconda vita e si sviluppa nella ricerca di un ritmo
nell’apparente disposizione casuale delle cose”. Su tutto una grande capacità e
maestria artigianale che unita alla
riflessione estetica, da vita ad opere in cui la ricchezza e la preziosità del
colore e della materia rimandano a
visioni di bellezza ed eleganza dove mistica e arte si fondono per mostrare al
visitatore che mondi altri, fatti di splendore e maestria, sono possibili.
Segni Trame Sogni è un viaggio nella funzione taumaturgica
dell’arte che crea bellezza in tanti modi diversi, senza però dimenticare che,
in fondo, il bello è intorno a noi basta saper guardare per creare mondi.
volti
Cane Bambino
opera in permanenza collezione di arte contemporaneaMUBAQ museo dei bambini Fossa -Aq
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