Di Bianche Spine
L'Aquila, Via Verdi 9, a cura di Angela Ciano:
Bianco =
purezza – luminosità - energia - speranza.
Bianco = vita.
Più che per
gli altri colori, pensare al bianco è pensare ad una serie di aggettivi che
rimandano ad altro e oltre il semplice effetto cromatico. Per il padre dell’astrattismo Wassilly
Kandisky il bianco è dato dalla somma di tutti i colori dell’iride che si annullano
in esso. E’ come un muro di silenzio assoluto, dove non percepiamo emozioni, un
colore paragonabile a un non – suono. Ma è proprio questa neutralità che lo
rende ricco di energia potenziale da spendere per il futuro; è proprio questo
suo essere pausa tra una battuta e l’altra, nell’esecuzione musicale per
esempio, ad essere preludio di altri suoni e quindi di altra energia, di altra
vita. Quanto di più vicino e simbiotico c’è con l’idea più intrinseca e vera
della donna. L’unica in grado di dare nuova vita.
Per questo
il bianco è il colore della donna, del suo viaggio nella condizione umana
ancora oggi irto di spine ma anche di continue rinascite.
“… di bianche spine” è il titolo dell’installazione
artistica di Donatella Giagnacovo ….
che è un viaggio – riflessione sulla
condizione della figura femminile nel terzo millennio. In un periodo in cui alcuni stereotipi sembrerebbero superati, il
potenziale comunicativo del gesto artistico di una donna li fa riaffiorare con
tutta la loro urgenza e drammaticità. E non si tratta solo di un nuovo modo di
pensare alle forme di violenza più
tragiche, che troppo spesso sfociano nella morte e che pure hanno un loro
portato necessario. Nella sua ultima ricerca Donatella Giagnacovo non si ferma solo a questo, con la sua
sensibilità di artista e donna, di moglie, madre ed educatrice, scava in
profondità cercando di far riaffiorare la condizione vera in cui si trova a vivere
ogni giorno la donna del terzo millennio. “L’arte come evento e azione – scrive
Gianluigi Simone sulla Giagnacovo – che si inserisce nella quotidianità, senza
separazione tra spazio estetico e spazio sociale, tra mondo reale e dimensione
artistica”. Nascono così opere che in un’apparente leggerezza di forma e
materia “indagano il mondo femminile con un lessico narrativo che ha in comune
la scelta del bianco ma non come resa al colore, bensì come necessità: il
bianco come luce per illuminare le ombre e le oscure proiezioni che si
riflettono sull’essere donna, il bianco di cui si impregna la materia e che da
essa arretra per lasciare il posto al
valore espressivo della forma”. Ed allora temi come la donna oggetto, la sposa
bambina, la donna succube o stereotipo di bellezza ma non intelligenza, la
donna violentata, aggredita ed infine trucidata tornano di un’urgenza che
prende allo stomaco guardando le opere di Donatella Giagnacovo. Opere che
attraggono lo sguardo per la loro immediata leggerezza e per il loro nitore; ma
che al tempo stesso lo inchiodano alla
riflessione e alla presa di coscienza. Una dialettica continua in cui il pensiero/gesto dell’artista si serve di
materiali evanescenti e diafani: veli, pizzi, trine, nastri, fiori, peluche,
piume e di quelle iconografie che fanno parte del mondo femminile fin dalla
nascita. Ma esse, attraversate dal pensiero e dalla sensibilità dell’artista, perdono la loro forma sterile trasformandosi
in strumento in grado di produrre senso, di generare un pensiero nuovo. Nascono
così la valigia di peluche o il vestito della sposa bambina realizzati in
cemento, le scarpe solo apparentemente vezzose, tempestate di spilli e immerse
anch’esse, in una colata di cemento; si materializza così in tutta la sua
ingombrante presenza il vestito di velo trasparente, desiderio di chissà quali
promesse, che una miriade di spilli al posto delle cuciture lo rendono un
oggetto spettrale simbolo di ancestrali soprusi. E poi ci sono i busti/corazza
e le maschere/ prigione in plastica trasparente, in garza … oggetti leggeri ed
impalpabili … depurati fino all’astrazione e realizzati con materiale di
recupero che, in un rimando ideale al ready made duchampiano, sottolineano la loro presenza ingombrante,
diventando attraverso il fare artistico, sinonimi di gabbie ed involucri in cui
da sempre sono costretti il corpo e l’anima di una donna.
Non tutto è
perduto però “…di bianche spine”
lancia anche un messaggio verso il futuro e alle future generazioni. E lo fa
con oggetti apparentemente non sense. Sono le opere/ libri, anche queste
leggere e immerse nella dialettica materia –forma, immagini ambigue ma anche positive perché invitano a scrivere nuove pagine. Invitano
l’essere umano, donna o uomo che sia, a ridisegnare il suo ruolo nel rispetto
delle prerogative e dell’essenza di ognuno. Ecco credo sia proprio questa la
riflessione finale di Donatella Giagnacovo sulla condizione femminile che, lungi
dall’essere quella che tutte/tutti auspichiamo, deve però non rinnegare la
purezza del bianco vitale che ogni donna porta con se fin dalla nascita.
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